Quando qualcuno soffre o è in difficoltà e ne siamo consapevoli spesso nasce in noi spontaneo il desiderio di fare qualcosa, di poter essere in qualche modo d’aiuto. Questa è la compassione. Non si tratta di una cosa astratta o lontana, è qualcosa che abbiamo dentro. Spesso questa spinta ad alleviare la sofferenza resta sopita soprattutto perché fatichiamo a vederla la sofferenza. A volte siamo talmente tanto centrati su noi stessi che non vediamo oltre.
Altre volte accade il contrario. Siamo totalmente proiettati al di fuori per non vedere e non sentire quello che ci accade dentro. Siamo accompagnati da una sorta di grillo parlante molto critico e cattivo, sempre pronto a sottolineare ciò che non va e dove abbiamo sbagliato. Ci sentiamo falliti e frustrati e pur di non sentirlo ci riempiamo la vita di cose da fare, cose in cui riusciamo molto bene, in modo da fargli vedere quanto valiamo. In questo caso possiamo fermarci e iniziare a lavorare con la compassione per noi stessi. Non è un aspetto secondario, anzi è il nostro punto di partenza per sviluppare una compassione autentica anche verso gli altri. Ci apriamo ai nostri lati più deboli, al nostro critico. E lo facciamo con un semplice esercizio, la pausa di compassione per noi stessi. Partiamo da quello che sentiamo in questo momento. Ci prendiamo del tempo per sentire come stiamo, per riconoscere quello che c’è anche se si tratta di una difficoltà. Poi ci apriamo al fatto che non siamo i soli a soffrire, le sofferenze sono comuni a tutti, ci uniscono come esseri umani. Infine ci prendiamo il tempo per essere gentili e accoglienti con noi stessi, incoraggiandoci a cuore aperto. Questo piccolo esercizio creato da Kristin Neff può aiutarci a connetterci profondamente con noi stessi e con gli altri lasciando spazio alla nostra esperienza di essere così com’è, senza volerla cambiare.